Città, inquinamento e clima.
Spariscono gli anfibi in Italia.
Pubblicato il primo studio per individuare le cause del declino di queste specie nel nostro paese.
Che chiama in causa il cambiamento climatico: un imputato finora sottovalutato
GLI ANFIBI sono le specie animali più minacciate.
In Europa ne vivono 85 tra rane, rospi, tritoni e salamandre, di cui il 60% in declino.
Una quota superiore a quella dei mammiferi (15%) o degli uccelli (13%). In Italia le specie sono 36 e 9 di queste potrebbero presto essere solo un ricordo.
Un quadro allarmante - le cui cause sono la riduzione delle aree umide, l'urbanizzazione, le malattie, l'inquinamento e la caccia indiscriminata- tratteggiato da uno studio italiano pubblicato dalla rivista Biological Conservation.
"L'Italia ospita il maggior numero di specie complessivo ed è quindi tra i paesi con il maggior declino", dice il biologo Pierluigi Bombi, che insieme a Manuela D'Amen della Università di Roma Tre, punta ora il dito contro il cambiamento climatico, un problema sottovalutato nella conservazione degli anfibi italiani.
D'Amen e Bombi hanno studiato le 12.500 segnalazioni raccolte in più di dieci anni da volontari sparsi lungo la penisola.
Grazie anche a informazioni ecologiche e immagini satellitari hanno ritratto lo stato odierno della fauna anfibia italiana.
Secondo i ricercatori il declino è maggiore nelle regioni che hanno subito forti sbalzi climatici.
"Il problema sono la diminuzione di acqua e l'aumento della temperatura", dicono.
Le pozze stagionali si asciugano prematuramente, e ciò impedisce la riproduzione di rospi e raganelle.
"In alcune regioni in cui il calo degli anfibi era attribuito alla distruzione dell'habitat, abbiamo invece visto che la causa principale è stata il clima". Inoltre, ricordano gli scienziati, il clima favorisce l'insorgere di epidemie.
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E diminuiscono il rospo comune, la rana "verde", il tritone italico e la rana italica.
Rospi e salamandre non godranno forse del favore degli italiani, ma sono importanti per l'ambiente.
Per esempio limitano la proliferazione di topi ed insetti.
Edoardo Razzetti, biologo presso il Museo di Storia Naturale di Pavia sottolinea: "Gli anfibi sono un patrimonio della biodiversità che dovremmo trasmettere ai nostri figli.
In fondo anche la tigre siberiana non è essenziale per la sopravvivenza umana, ma pensare così vuole dire aver perso il rapporto che abbiamo con gli ambienti naturali".
Secondo D'Amen e Bombi i risultati dello studio, serviranno alle istituzioni per la tutela della fauna che regna nelle paludi e negli aquitrini italiani.
Bisognerà infatti riconsiderare la protezione degli anfibi in un Mediterraneo destinato ad essere più arido e brullo.
Non saremmo certo i primi a farlo, dice Bombi: "In Spagna esistono già studi sulla efficienza delle aree protette nella difesa degli anfibi, dei rettili, ed in generale della biodiversità, che tengono conto dell'impatto che avranno i cambiamenti climatici".
(22 settembre 2009)
Fonte: LaRepubblica.it